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• 2015_02 - "Introduzione al vuoto", Nuova Galleria Morone, Milano (I)

Introduzione al vuoto

                       L’azzurro non si misura con la mente

 Il sottotitolo – del titolo si dirà più avanti, tratto dai Drammi lirici di Aleksandr Blok (1), è particolarmente funzionale non soltanto allo scopo di sottolineare la presenza assidua dell’azzurro nell’opera di Antonio Scaccabarozzi, ma anche a dare conto del principio sistematico secondo cui egli indaga i diversi materiali. Se è vero che nessun colore è mai veramente neutro, va detto però che nessuno degli altri colori porta con sé, nell’ambito della cultura simbolica occidentale (2), una intensa valenza poetica tale quale il blu in tutte le sue sfumature. L’azzurro, per le sue sonorità complesse, legate tanto alla profondità quanto alla leggerezza e alla rarefazione, rappresenta il colore del fiore della poesia per eccellenza, in Novalis e più in generale nella poesia romantica tedesca (3), ovvero è la tinta dell’anima. Se, come scrivevo altrove sempre a proposito di Scaccabarozzi, la pittura è “un non so che”, o meglio, <<introduzione al vuoto>>, secondo un’indicazione dell’autore stesso fornita attraverso il titolo di una sua opera del 1978, è evidente che nessun colore è più impalpabile e vicino all’inspessimento dell’aria dell’azzurro, come insegna Leonardo con la prospettiva aerea e lo sfumato.

Fin dall’inizio, dall’epoca delle Prevalenze, delle Misurazioni e delle Iniezioni, Scaccabarozzi si mostra un artista atipico, soprattutto per alcuni aspetti che si prestano a essere letti come sintomi di convergenze inattese, su cui questo scritto si concentra. Ciò avviene tenendo in considerazione anche piani meno immediatamente evidenti che non esiti materiali, peraltro senza difficoltà riferibili a altre esperienze visuali quali quelle del Gruppo Zero tedesco e, in Italia, alle indagini di Castellani e di Dadamaino. Antonio afferisce piuttosto a un’area di operatività concettuale più sottile e poetica, la stessa frequentata da un autore apparentemente diverso e lontano come Pino Pascali, del quale si vuole in particolare richiamare 32 metri quadrati di mare del 1967. La logica fatta propria da Pascali in questo lavoro, come da Scaccabarozzi nei cicli già citati dai titoli così eloquenti, si sviluppa a partire dalla misurazione paradossale introdotta da Duchamp nel 1913 con Trois stoppages étalon. Queste opere mettono in forma una delle funzioni principali dell’arte, che consiste nello svelare la propria natura di gioco che l’uomo intrattiene con l’infinito. L’infinito: ecco che la dimensione da cui ha origine l’audacia sperimentale delle loro opere è stata individuata.

La pittura di Scaccabarozzi, vista nella sua interezza, ha un corpo particolarmente semplice e allo stesso tempo ricco. Una cospicua parte dell’opera è composta di diaframmi, schermi e velari che funzionano come lenti attraverso cui guardare lontano, oltre; basta pensare alle aeree concrezioni di colore, alle lievi materializzazioni di luce pura, quasi immateriali, costituite dagli acquarelli, dalle plastiche e dagli oli delle Velature. Un’altra componente assai importante, imprescindibile, è rappresenta dall’attrazione sensuale verso la pelle della pittura, come è particolarmente evidente nel caso degli Essenziali, che ne sono l’esempio di massima concretizzazione. Scaccabarozzi risulta dunque attratto ugualmente da due poli estremi, definibili con diverse coppie di opposti, di cui è sufficiente ricordare opacità e trasparenza, presenza e assenza; esattamente così come Lucio Fontana milita su un fronte barocco, ben espresso attraverso le Nature, e su un versante votato all’infinito, emblematizzato dai concetti spaziali e dagli ambienti con la luce di Wood.

La qualità dei colori di Antonio è comunque rilevante e occorre soffermarcisi. Le aree rarefatte sono spesso pervase d’azzurro, perché la sua opera è disseminata d’azzurro, ma anche quando si tratta di altri colori sono comunque tinte instabili, indefinite. Colori come epifanie, che spesso corteggiano il biancore originale della luce, aliti di colore che a volte sono appena poco più che vapori sensuali. Altre volte invece le tinte raggiungono tonalità sontuose e profonde. In ogni modo però Scaccabarozzi costruisce campi cromatici che attraggono l’attenzione proprio a causa della loro rarità. Tinte intrise di luce piuttosto che cupe, ma comunque timbri inusuali, vere e propri enigmi per la percezione, largamente refrattari a ogni forma di catalogazione e classificazione. Difficile, se non impossibile, individuare e dire il nome dei suoi colori, proprio perché essi sono sempre dinamici, sapientemente tenuti dall’autore in uno stato d’instabilità che nega loro ogni possibilità di assestamento.

Ognuno di essi è abitato da un fremito vitale molto raro. Sono colori come silenzi solidificati, si direbbero proprio silenzi trasformati in colori. Comunicano in modo assai convincente, attraverso la loro palese introversione, che è proprio nel colore il principio originario della pittura, nel colore inteso come dissonanza interna a un campo instabile, intermittente vibrazione e intima sonorità. Osservando le sue tinte si intuisce l’importanza della connotazione espressa dall’aggettivo Variabile, come intitolavo una mostra dedicata all’artista presso la Fondazione Calderara di Vacciago nell’estate del 2012.

Questi colori in dissolvenza restituiscono alla visione il suo carattere primario di apparizione, epifania. Soprattutto gli acquerelli, filtri quasi impalpabili, e le plastiche che rappresentano la massima espressione del gioco del pendolo caro a Scaccabarozzi tra i due già citati poli della trasparenza e dell’opacità, tra vedere attraverso e occlusione che coincide perfino quasi con la cecità. È dunque sul colore che si basa soprattutto la sua indagine sulla sostanza della visione, la sua sperimentazione di luoghi e corpi della pittura, dalle diverse consistenze e forme, tutte diversamente interessanti. Ogni colore è connaturato al supporto materiale che ne è il necessario tramite della manifestazione. Ogni introduzione di nuovi materiali e toni nell’opera di Scaccabarozzi è volta a indagare sempre nuove frontiere del visibile e a affrontare, declinandola, la complessa essenza del fenomeno cromatico.

Usa la plastica come colore/luce capace di vivere una relazione di estrema mescolanza e fluidità con l’ambiente circostante. Sintesi degli interessi pittorici di Antonio, come esaltazione della velatura, del vedere attraverso e della trasformazione, i fogli di polietilene svolgono nella sua opera un ruolo fondamentale come i papiers gouachés decoupés per Matisse. L’apoteosi del colore avviene proprio sulla superficie sdrucciola delle plastiche come su uno specchio d’acqua: la liquida mobilità della luce si accumula cangiante, scorre e trascolora, con il risultato che ogni tinta è particolarmente viva e guizzante.

Le plastiche, opere più di tutte attive, mercuriali, mobili e mutevoli, assolvono al meglio lo scopo di Scaccabarozzi, come accade al ciclo delle Ninfee nel corpus del lavoro di Monet: esse instillano inesorabilmente in chi guarda la consapevolezza del fatto che la visione è un processo perennemente in fieri. Trasformazione dello sguardo.

L’opera di Antonio nella sua interezza testimonia di un’idea espansa di pittura che per ampiezza di respiro fa pensare a Yves Klein (4): aldilà dei riferimenti che si stabiliscono attraverso il comune utilizzo del monocromo e la comune affezione dimostrata nei confronti del blu - anche se per Antonio si dovrebbe parlare al plurale: dei blu-, i due artisti sembrano incontrarsi soprattutto

nella vocazione al vuoto, un vuoto colmo e gravido come il silenzio dopo la musica, e nello slancio verso l’infinito. Per entrambi, paradossalmente, l’opera, in quanto fenomeno momentaneo di precipitazione di una determinata sensibilità immateriale, potrebbe anche sparire del tutto purché ne permanesse il riverbero, l’irraggiarsi di una trasformazione.

Il vuoto in cui salta Yves Klein nella sua famosa azione/manifesto passata alla storia, attraverso un fotomontaggio, con il titolo Saut dans le vide dell’ottobre del 1960, è lo spazio a cui introduce l’opera di Scaccabarozzi.

Se è vero che il ruolo del poeta è quello di custodire l’azzurro, la lontananza, Scaccabarozzi è un poeta che indaga i meccanismi della visione e ne afferma l’incanto.

La sua arte è apertura di uno spazio di oltranza.

 

Elisabetta Longari

 

(1) Aleksandr Blok, Drammi lirici, S. Leone (a cura di), S. Pescatori (a cura di), Einaudi, Torino 1977.

(2) Pastoureau, Blue: The History of a Colour, Princeton University Press, 2001.

(3) Amelia Valtolina, Blu e poesia, Bruno Mondadori, Milan 2002.

(4) Sono grata a Silvia Bignami e Giorgio Zanchetti per il bel saggio che hanno scritto a quattro mani per Klein e Fontana, la cui lettura, avvenuta in fase di stesura del presente testo, ha confermato alcune mie intuizioni (Silvia Bignami, Giorgio Zanchetti, Universi paralleli. Yves Klein Lucio Fontana, in Klein Fontana. Milano Parigi 1957-1962, catalogo della mostra, Milano, Museo del Novecento, 22 ottobre 2014-15 marzo 2015).

 

(Copia del Catalogo della mostra è disponibile, qui sotto, in formato PDF)

Informazioni aggiuntive

  • Museo/Galleria: Nuova Galleria Morone, via Nerino 3, Milano (I)
  • Periodo: 12 Febbraio - 24 Aprile 2015
  • Curatela: Prof. Elisabetta Longari
  • Sottotitolo: L’azzurro non si misura con la mente
  • Crediti fotografici: Studio Vandrasch, Luigi Erba, Majova, Bruno Bani

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