• 1978 - Minime differenze, Galleria Lorenzelli, Bergamo

MINIME DIFFERENZE

 Il presente contributo vuole essere soprattutto una introduzione e un invito alla lettura del gruppo di opere che sono riprodotte nel catalogo e che costituiscono uno dei temi che Antonio Scaccabarozzi ha voluto affrontare in questa occasione.

La ricerca, ma anche l’intera produzione di questi ultimi anni dell’artista, è legata al problema delle ‘minime  differenze’ e si basa sulla indicazione e sul confronto, nel singolo pezzo e nel complesso delle opere, di elementi varianti e elementi invarianti: se nella riproduzione fotografica alcune caratteristiche, come la natura e la preparazione del supporto materiale, possono essere colte con una certa difficoltà, altre varianti, come la dimensione dei punti e il loro valore cromatico, risultano tutto sommato evidenti.

In ogni caso credo sia opportuno discutere i due termini: il termine ‘Differenza’ e il termine ‘Minima’.

Una variazione, anche la più appariscente, è concettualmente possibile quando si instaura un processo di relazione fra più immagini, non importa se corrispondano a una singola opera o l’estensione dell’analisi comprenda un numero superiore di opere. Nel caso in cui, appunto, si mettono in ‘parallelo’, secondo il criterio della omogeneità o della non omogeneità, alcuni elementi individuabili e riconoscibili nell’opera, allora si può parlare di differenza: la differenza mantiene sempre, da un passaggio all’altro, una dose di continuità tale da poter far giudicare come ‘conseguente’ la successione determinata. Altrimenti il legame si rompe e si entra nella sfera della diversità, della estraneità.

Per parlare di differenza nel caso di Scaccabarozzi bisogna anche parlare di continuità, di similarità, di appartenenza degli elementi espressivi a una medesima radice e a un medesimo modo di trasformazione, limitato nei suoi passaggi. Proprio questa qualità della differenza chiarisce l’aggettivo ‘minima’ in quanto paradossalmente proprio la variazione calcolata nei suoi registri più bassi, nel tasso di novità minore, provoca apparentemente l’uniformità, la in distinzione, ma a una seconda lettura si manifesta come il modo più incisivo per indicare una differenza, e quindi una modificazione di significato.

Concepire la differenza vuol dire, si è detto, necessariamente fare un paragone, calcolare il tasso di coincidenza e il tasso di diversità esistente in due fenomeni Scaccabarozzi parte da un repertorio di immagini estremamente limitato (il punto come elemento figurale, la grandezza, la gradazione cromatica e la sua giacitura lineare come repertori variabili) e nell’incrocio di queste variabili valuta il risultato di queste modificazioni.

La limitazione in altri termini è in funzione di un discorso sulla visione che è prima di tutto una affermazione riflessiva del produrre e del connsumare immagini.

 

Riflettere vuol dire anche conoscere, e quindi giudicare quanto si produce: Scaccabarozzi infatti utilizza elementi evidenti della geometria piana che sono strumenti e non fini della operazione; strumenti di esplorazione del campo, agenti che definiscono il campo (nel caso dei quadri illustrati vengono attivate le diagonali di un quadrato con un numero costante di punti) ma che sono nello stesso tempo definiti dalle loro dimensioni e dalla loro quantità. Una volta definita l’esattezza di un programma di ricerca, ne risalta, all’atto di una lettura, la sua relatività, la sua dipendenza dalla visione; sempre che il ‘vedere’ non sia una attività “minore” della nostra coscienza, ma acquisti il valore attivo di una interpretazione, una decifrazione di valore.

L’entità dell’immagine, o di una sua parte, non esiste in quanto tale, come elemento assoluto, invariabile, ma cambia nella sua disposizione figurale e con la distanza che esiste fra l’osservatore e l’oggetto. Può sembrare una constatazione ovvia ma in realtà proprio una operazione come quella di Scaccabarozzi ha l’interesse di ricordare come quanto si ritiene ovvio spesso sia da ridiscutere, o da riaffermare, specie in un momento storico come l’attuale in cui una ottusa o tacita quiete sul piano del dibattito culturale sembra permettere una larghezza di discussione, ma in realtà ne elimina le radici, gli interrogativi più stimolanti, più radicali.

E l’interrogativo di Scaccabarozzi è quello di voler produrre un’immagine che ridefinisce autonomamente come intelligenza, conoscenza di un luogo, bidimensionale o tridimensionale  che sia, e nello stesso tempo che riaffermi la relatività, l’errore e l’approssimazione di una percezione, di una indagine individuale  che è sempre orientata, parziale.

  

Alberto Veca, maggio ‘78

 

 

 

 

Per approfondire il lavoro sulle ”minime differenze”, ho seguito un numero precisato di quadri che apparentemente potrebbero essere collocati in un contesto già sperimentato. Ma il fatto che le “ minime differenze” si ritrovino insistentemente alla base di buona parte del lavoro svolto finora, mi porta a considerarle come margini entro i quali scorre un modo di essere. Se questo però è un dato dal quale difficilmente si può prescindere, (nel senso che un individuo lo difende se ha motivo per farlo) è altrettanto vero che comunicare attraverso la visione, (come scelta di campo) implica inevitabilmente di attenersi alle leggi che regolano i processi visivi. Ma quello a cui non credo, (e purtroppo si verifica spesso) è che il discorso si esaurisca nei limiti della sperimentazione all'interno del campo in questione, senza che le forze date dalla regola interagiscano e stimolino il pensiero al di là di quello che è il visibile.

L'errore stà nel preparare il terreno per la pura constatazione di un fenomeno, o peggio dare soluzione al problema, senza rendersi conto che in campo artistico, forse l'unico punto di contatto senza violenza che vale la pena di tentare, è proprio quello di porsi come tramite attraverso il quale un'esperienza comune possa avvenire. Dice giustamente l'amico Morellet “che le opere d'arte sono dei luoghi da picnic, delle locande spagnole dove si consuma ciò che si porta con sé”.

Ciò indica proprio di prestare attenzione a che questa facoltà non sia negata da un lavoro già concluso, senza vie d'uscita.

Per ritornare al lavoro che presenterò in questa mostra, ancora una volta ho circoscritto l'operazione a un numero limitato di quadri (12 per l'esattezza) che considero quanto basta per proporre la lettura di un problema senza doverlo espletare a rigore logico-deduttivo nelle sue varie posslbllltà. Le minime differenze, non sono risultati dedotti dall'applicazione indiscriminata del metodo, ma da scelte considerevoli operate fra le varié - possibilità di soluzione.

E' da questo punto di vista e senza trasgredire le regole finora adottate che ne deriva per quel che mi riguarda la condizione importante per iniziare avventure sempre nuove - sempre vecchie in una visione sempre uguale - sempre diversa.

 

Antonio Scaccabarozzi

Informazioni aggiuntive

  • Museo/Galleria: Galleria Lorenzelli, Bergamo
  • Periodo: Maggio - Giugno 1978