1973 - Antonio Scaccabarozzi (di E. L. Francalanci)

Antonio Scaccabarozzi

 

Le sue opere nascono proprio da una scelta di semplicità, come reazione alla posizione inizialmente romantica di enfatizzazione e di ridondanza dell’immagine e della comunicazione.

Non il mettere bensì il levare è il segreto dell’operazione più sperimentale dell’arte, come dimostrano in questi giorni puntualizzando e confrontando le loro ricerche in una mostra comune von Greavenitz, Morellet e Colombo.

Semplicità che giunge in Scaccabarozzi fino alla rinuncia dei materiali nobili per riabilitare l’umile tela sulla quale interviene tuttavia non più con il pennello ma con altri strumenti, la fustella a mano, il martello a mano.

La tela è colorata di bianco. Sul piano bianco le tondature da fustella, sollevate di un certo angolo e in una medesima direzione per ogni insieme lineare e ruotando l’angolatura di fila in fila, provoca effetti straordinari di ripartizione luminosa. Le ore del giorno e della stagione determinano le infinite variazioni cromatiche delle sue opere.

Qual è l’elemento, il dato di fatto inoppugnabile, che differenzia l’artista da un altro e che lo caratterizza contro il pericolo di una ignominiosa disattenzione?

Nessuna critica, in realtà, si è sforzata di considerare l’artista nella sua globalità di uomo. Io vedo queste opere ma non posso farmi nessuna immagine di colui che le ha realizzate; anche nei momenti storici più felici per la tendenza all’anonimato nell’arte si è avuta coscienza che mancava qualcosa alla sua definizione e lo stesso artista si è sforzato di riguadagnare il ruolo del personaggio. Ma tra la persona e il personaggio che essa vuole rappresentare c’è una grande differenza e a me interessa la persona più che l’artista, così come l’operazione ben più che l’opera.

Anche in questo caso non vi è stata una critica impegnata che abbia tentato di evidenziare i fattori e gli strumenti che sono necessari all’artista per diventare tale, ovvero per farsi riconoscere come tale. Al contrario vi è stata una sollecitazione a considerare l’artista come un personaggio rivisitato all’interno di un gruppo, di una poetica, di una tendenza: quasi che soltanto l’appartenenza al clan possa essere considerata indizio e garanzia di valore. Cioè il riconoscimento di appartenenza precede, in questo tipo di critica e nel mercato generale dell’arte, il riconoscimento individuale e storico.

L’artista accetta o rifiuta, essendone consapevole e talvolta corresponsabile, questa situazione? Un’opera che non sia in galleria non esiste, un artista che non esponga non esiste, meglio ancora, afferma Scaccabarozzi, un’opera che non sia commerciabile non esiste. E perché sia tale deve essere individuabile cime un bene di valore e di scambio, garantito dalla sua storicizzabilità dentro un preciso riferimento culturale di appartenenza.

Cos’è dunque il clan artistico?

Cosa significa avanguardia?

Per l’artista che ha compreso il paradosso è stato relativamente facile, culturalmente, approfittare della situazione e mutarla a proprio vantaggio ponendo in primo piano se stesso come opera (e come operante, vedendosi operare, registrandosi opera-operante-operare, registrandosi vedentesi).

Ciò che caratterizza invece Scaccabarozzi è la ricerca di una chiarezza espressiva, di una semplicità totale dei mezzi, nella comunicazione e nella posizione culturale e politica.

 

Ernesto L.Francalanci

 Venezia - Gennaio 1973