MINIME DIFFERENZE
Il presente contributo vuole essere sopratutto una introduzione e un invito alla lettura del gruppo di opere che sono riprodotte nel catalogo e che costituiscono uno dei temi che Antonio Scaccabarozzi ha voluto affrontare in questa occasione.
La ricerca, ma anche l’intera produzione di questi ultimi anni dell’artista, è legata al problema delle ‘minime differenze’ e si basa sulla indicazione e sul confronto, nel singolo pezzo e nel complesso delle opere, di elementi varianti e elementi invarianti: se nella riproduzione fotografica alcune caratteristiche,come la natura e la preparazione del supporto materiale, possono essere colte con una certa difficoltà, altre varianti, come la dimensione dei punti e il loro valore cromatico, risultano tutto sommato evidenti.
In ogni caso credo sia opportuno discutere i due termini: il termine ‘Differenza’ e il termine ‘Minima’
Una variazione, anche la più appariscente, è concettualmente possibile quando si instaura un processo di relazione fra più immagini, non importa se corrispondano a una singola opera o l’estensione dell’analisi comprenda un numero superiore di opere. Nel caso in cui, appunto, si mettono in ‘parallelo’, secondo il criterio della omogeneità o della non omogeneità, alcuni elementi individuabili e riconoscibili nell’opera, allora si può parlare di differenza: la differenza mantiene sempre, da un passaggio all’altro, una dose di continuità tale da poter far giudicare come ‘conseguente’ la successione determinata. Altrimenti il legame si rompe e si entra nella sfera della diversità, della estraneità.
Per parlare di differenza nel caso di Scaccabarozzi bisogna anche parlare di continuità, di similarità, di appartenenza degli elementi espressivi a una medesima radice e a un medesimo modo di trasformazione, limitato nei suoi passaggi. Proprio questa qualità della differenza chiarisce l’aggettivo ‘minima’ in quanto paradossalmente proprio la variazione calcolata nei suoi registri più bassi, nel tasso di novità minore, provoca apparentemente l’uniformità, la in distinzione, ma a una seconda lettura si manifesta come il modo più incisivo per indicare una differenza, e quindi una modificazione di significato.
Concepire la differenza vuol dire, si è detto, necessariamente fare un paragone, calcolare il tasso di coincidenza e il tasso di diversità esistente in due fenomeni Scaccabarozzi parte da un repertorio di immagini estremamente limitato (il punto come elemento figurale, la grandezza, la gradazione cromatica e la sua giacitura lineare come repertori variabili) e nell’incrocio di queste variabili valuta il risultato di queste modificazioni.
La limitazione in altri termini è in funzione di un discorso sulla visione che è prima di tutto una affermazione riflessiva del produrre e del consumare immagini.
Riflettere vuol dire anche conoscere, e quindi giudicare quanto si produce: Scaccabarozzi infatti utilizza elementi evidenti della geometria piana che sono strumenti e non fini della operazione; strumenti di esplorazione del campo, agenti che definiscono il campo (nel caso dei quadri illustrati vengono attivate le diagonali di un quadrato con un numero costante di punti) ma che sono nello stesso tempo definiti dalle loro dimensioni e dalla loro quantità. Una volta definita l’esattezza di un programma di ricerca, ne risalta, all’atto di una lettura, la sua relatività, la sua dipendenza dalla visione; sempre che il ‘vedere’ non sia una attività “minore” della nostra coscienza, ma acquisti il valore attivo di una interpretazione, una decifrazione di valore.
L’entità dell’immagine, o di una sua parte, non esiste in quanto tale, come elemento assoluto, invariabile, ma cambia nella sua disposizione figurale e con la distanza che esiste fra l’osservatore e l’oggetto. Può sembrare una constatazione ovvia ma in realtà proprio una operazione come quella di Scaccabarozzi ha l’interesse di ricordare come quanto si ritiene ovvio spesso sia da ridiscutere, o da riaffermare, specie in un momento storico come l’attuale in cui una ottusa o tacita quiete sul piano del dibattito culturale sembra permettere una
larghezza di discussione, ma in realtà ne elimina le radici, gli interrogativi più stimolanti, più radicali.
E l’interrogativo di Scaccabarozzi è quello di voler produrre un’immagine che ridefinisce autonomamente come intelligenza, conoscenza di un luogo, bidimensionale o tridimensionale che sia, e nello stesso tempo che riaffermi la relatività, l’errore e l’approssimazione di una percezione, di una indagine individuale che è sempre orientata, parziale.
Alberto Veca, maggio ‘78