2006 - Giallo di Napoli

GIALLO DI NAPOLI

 

Avevo dieci anni, quando tutte le domeniche pomeriggio andavo a trovare Alessandro Scaccabarozzi cugino di mio padre, mi recavo da lui per vederlo dipingere. Era un tipo molto simpatico, speciale nei modi e nel parlare. Mi piaceva la sua strana maniera di porsi perché lo rendeva unico. Voci sostenevano che dipingeva per vera passione. Con me si vantava di aver interrotto gli studi all’Accademia di Brera, per via di professori incapaci di capire il suo bisogno di libertà artistica. Io avevo gia visto i suoi quadri, avevo notato la differenza che c’era con i quadri dei grandi Maestri riprodotti sui libri. Era normale me l’aspettavo, ma io volevo vederlo fare, la pittura tradotta in atto, e le domeniche pomeriggio erano le occasioni che mi si offrivano, dato che lui dipingeva solo nel tempo libero.

   Arrivando a casa sua, lo trovavo seduto davanti al cavalletto, completamente assorto nel silenzio con una finestra aperta sul giardino e immerso nei profumi dei colori ad olio, della trementina e delle vernici. Profumi che m’introducevano piacevolmente a quelle che diventarono le abituali lezioni e rappresentazioni domenicali.

   Il luogo era un salotto di famiglia, il cavalletto con il quadro messo in buona luce vicino alla finestra. Fin dall’inizio mi sorpresi di non trovare alcun riferimento fra il dipinto e la realtà circostante, cercai di capire dove avrebbe preso le immagini da dipingere, in sostanza mi accorsi che lui guardava solo nel quadro. Distoglieva lo sguardo, quando doveva mescolare i colori sulla tavolozza. Il paesaggio era nella sua mente.

   Ogni volta dopo un breve saluto io mi collocavo tranquillo alle sue spalle, a guardare in silenzio cosa sarebbe successo, senza che lui fosse minimamente infastidito. Da parte mia dopo aver accettato l’idea che s’inventasse i paesaggi, la mia curiosità era di vedere come sarebbe evoluto il quadro che stava facendo, perché un paesaggio è pur sempre un dipinto interessante, ma era molto diverso veder dipingere un albero, un prato, piuttosto che una casa o un cielo.

   Una domenica sul cavalletto c’era un quadro, che aveva alcune parti appena accennate e altre portate a termine. L’impianto generale era occupato da due terzi di cielo blu, con nuvole bianche che dominavano un paesaggio esteso orizzontalmente in basso. Dopo un bel po’ di tempo trascorso ad occuparsi del cielo con il bianco, il blu, e il grigio, da un tubetto schiacciò un colore assai scialbo sulla tavolozza. Intinse il pennello e appena lo dipinse sulle nuvole qua e là, il cielo s’ illuminò di colpo. Io manifestai un grande entusiasmo per l’accaduto e con enorme eccitazione chiesi che cosa fosse, cosa era stato a causare un tale cambiamento. Rispose che era stato il Giallo di Napoli. Senza dare altra spiegazione.

   Quel giorno tornai a casa veramente entusiasta, col nome di un colore misterioso in testa, e sempre più convinto che da grande avrei fatto il pittore.

   Le mie visite continuarono per tutta la stagione estiva. In seguito mi resi conto che mi recavo da lui, con la speranza di veder dipingere i cieli dei suoi paesaggi. Il desiderio era di rivivere l’emozione che il Giallo di Napoli mi aveva dato la prima volta. Ormai mi annoiavo a vedere dipingere le altre parti del paesaggio. A dipingere il cielo, Alessandro ci metteva più energia. Il pennello scorreva libero, con movimenti arrotondati, e il dipinto progrediva visibilmente, rispetto a tutto il resto che appariva lento e indeciso.

   Ogni volta, osservavo le possibilità che avevano gli artisti di fare qualcosa d’eccezionale.

   Un minimo intervento sulla materia poteva causare un tale cambiamento, da rimanere stupefatti. Ciò che un attimo fa era spento, insoddisfacente, si poteva immediatamente rendere interessante. Un colore al quale non si sarebbe dato alcun potenziale, bastava metterlo in relazione con alcuni colori diversi per scatenare un’energia miracolosa inattesa. Pensai a quante possibilità sconosciute ci sarebbero state ancora da scoprire in futuro.

   Oltre al fascino che la pittura esercitava su di me, le lezioni domenicali rafforzarono in me il desiderio di conoscere. Mi resi conto della complessità e dell’impegno che avrebbe richiesto la conoscenza del fare. I materiali, le tecniche, lo studio della storia dell’arte. Assolutamente volevo capire e imparare, ed ero sicuro che la stagione successiva, sarei stato io il pittore. Così cominciai a dipingere.

 

Un’altra occasione di imbattermi nel Giallo di Napoli, fu all’epoca della scuola d’arte. Il nostro professore impartiva spesso lezioni su quello che chiamava la “pulizia della tavolozza”, intendendo con questo farci mescolare i colori il meno possibile. Ricorrendo soprattutto all’uso dei primari, secondari, o al massimo i terziari, evitava così i toni a scendere nella scala cromatica. Giustamente, a sostegno di questa tesi, ci mostrava come Matisse, pur dipingendo il ritratto di donna aveva evitato i colori di pelle, non solo, ma che nell’incarnato aveva dipinto le ombre di viola e di verde, creando nuove regole, facendo “cantare” i colori rispetto alle abituali “tavolozze pittoriche” precedenti.

   La lezione di Matisse, e la sete di conoscenza, rimandava inevitabilmente a Mondrian e agli artisti della Bauhaus che allora per noi erano novità che io sfogliavo in biblioteca con grande interesse. Trovare una ragione per usare il Giallo di Napoli a quel tempo era pressoché impossibile. Il giallo di Napoli era usato nella tradizione soprattutto per dipingere gli incarnati di nudi e ritratti, tutte cose erroneamente ritenute appartenenti al passato. Non solo, ma a scuola questo colore non era neanche nominato, se non a scopo denigratorio. Sempre con un’espressione di disgusto molto esplicita.

    Da allora il Giallo di Napoli, pigmento legato alle sue storie rimase nell’oblio.

   Il mio lavoro artistico è continuato nel tempo, senza ragione d’interessarmi a questo colore.

   Un giorno di qualche mese fa stavo guardando ‘Banchisa 21’, che faceva parte di un ciclo di lavori in Polietilene durato otto anni. Questo lavoro mi ricordò le storie passate legate a questo strano colore, tanto da non potermi liberare facilmente, infatti, cominciai a pensarlo, chiedendomi perché fosse tanto bistrattato.

   Io lo conoscevo già questo colore, eppure trovavo difficoltà perfino a definirlo.  

   Nel linguaggio convenzionale in genere i colori si definiscono facendo il loro nome, perché li conosciamo. Dicendo – rosso – il colore si presenta alla nostra immaginazione. Cosi come; grigioverde, viola, giallo limone, e via di seguito. Per il Giallo di Napoli invece si dovrebbe ricorrere a diversi diminutivi messi in fila come per esempio: Giallino, ocragrigino, giallopaglerinorosato, come succede alle tonalità chiaramente indefinibili a parole.

     La complicazione sorge perché il giallo di Napoli è in sostanza un grigio nella sfera cromatica e Grigio evoca generalmente il tono medio che è composto dal nero e dal bianco. Detto invece nella sua posizione all’interno della sfera cromatica, dovremmo dire: Grigio verso il bianco e verso il giallo, o qualcosa del genere, senza poter precisare a parole la sua vera posizione. Insomma è uno di quei colori che vanno composti, più che essere detti.

     Per queste sottili assurde considerazioni e per le sue storie affiorate dalla memoria, questo colore mi stava interessando, non avrei mai pensato che ciò succedesse per il giallo di Napoli. Più lo pensavo e più diventavo curioso di sapere di più. Era venuto il momento di usarlo, per toglierlo da quella condizione confusa, ma soprattutto per sfida; fare un lavoro dal quale aspettarsi qualcosa di sorprendente.

   Stava diventando una fissazione connotata di vero e proprio fascino.

   Sapevo che il modo migliore per togliermi una fissazione era di includerla nel lavoro, già era successo altre volte. Realizzai qualche prova di chiarimento, precisai i risultati, fino ad ottenere sviluppi che mi parvero interessanti. Poi un quadro.

     Tutti i colori possiedono potenzialità diverse e particolari, che spesso restano sconosciute finché qualcuno ne coglie l’importanza e in qualche modo la rende visibile.

   E’ il mio modo di rendere giustizia ad un colore senza colpa.

   Così ora sto lavorando col Giallo di Napoli…e vicinanze, finché sarà interessante.

  

Antonio Scaccabarozzi